Uomo del suo tempo, ma anche interprete della modernità e del cambiamento
Originally published in Altro & Oltre, Trimestrale di sociopolitica e cultura. October 2019 – VIII – nr. 31. In memory of Ennio Rossignoli, my father.
Mio padre non amava viaggiare. Eppure, sono stati proprio due viaggi a segnare i momenti chiave della sua esistenza, riti di passaggio necessari. Il primo durante la guerra, per scampare ai bombardamenti su Trieste. Una bomba aveva colpito il palazzo in cui la famiglia viveva, risparmiando miracolosamente il loro appartamento e lasciando come sola cicatrice una fessura nella tela di un dipinto a olio appeso in salotto. Un veliero in balìa della tempesta, me lo ricordo ancora, che sua madre aveva conservato come memento mori. Si trasferirono ad Annone Veneto. Quella fuga da Trieste significò, se non di evitare il marchio profondo e indelebile della paura, almeno di assicurare alla famiglia l’integrità fisica e la salvezza dagli stenti. Quegli anni, in cui la loro dimora veneta fu a lungo occupata, servirono a plasmare il suo pensiero antifascista. Il secondo cruciale viaggio della sua vita fu il trasferimento a Cortina. Successe per caso, prima una vacanza, poi un’altra, e per finire accettò un’offerta per l’insegnamento. Di lì non si sarebbe più mosso: “Perchè andare a vedere il mondo, quando tutto il mondo viene a Cortina?”, era solito dire, come ricordano gli amici. Per il mezzo secolo successivo ci avrebbe veramente incontrato il mondo.
Per lui che non amava le crode se non come oggetto di contemplazione, la conca diventò un crocevia di incontri che, benché circoscritti nello spazio e nel tempo, si elevavano a amicizie affettuose spesso arricchite da aneddoti straordinari. Come quella volta in cui doveva intervistare Andreotti nel corso della sua trasmissione “Il Punto”. Rimasto bloccato nel traffico a causa di un incidente, arrivò con tre quarti d’ora di ritardo trafelato, desolato, scusandosi in preda all’imbarazzo. Andreotti sdrammatizzò dicendo: “Professore, ma sono io che sono arrivato in anticipo.” Dell’episodio si ricorda mio fratello, che era ancora un bambino. Oppure quando, durante una presentazione dell’estate letteraria, l’allora Presidente della Repubblica Cossiga gli fece trasmettere un biglietto su cui c’era scritto: “Caro Rossignoli, posso prendere la parola?” Quel foglietto lo conserviamo ancora. Questi e molti altri sono i ricordi della nostra infanzia mondana, quando da bambini un po’ curiosi e un po’ annoiati ci addormentavamo attorno alle stufe cortinesi.
Quando non era impegnato altrove, mio padre amava leggere a casa. A volte rileggeva un libro tre, quattro volte nel corso di pochi anni. Scompariva volentieri nella sua biblioteca, rovistava tra i libri e sapeva sempre esattamente dove trovare il titolo che stava cercando. Quel suo ordine mentale non doveva essere turbato; ogni spostamento era oggetto di rimprovero. A me aveva saputo trasmettere il piacere per quell’indugiare tra le pagine, sentirne l’odore, apprezzarne la storia. Era proprio lui a farmi scoprire autori nuovi, a invitarmi a leggere, a incoraggiare la mia curiosità letteraria. Mettevo disordine, ma lui mi accettava di buon grado come elemento entropico in quel suo universo. Da una certa distanza, e sempre con discrezione, cercava di guidare le mie letture, pur non giudicando mai le mie scelte anche quando non le condivideva, perché il suo credo era il rispetto del capitale intellettuale di ciascuno. Non censurava né temi, né titoli. Amante del sapere enciclopedico, nello stesso tempo sensibile alle sfumature del pensiero, era figlio del suo tempo, ma ha saputo anche essere interprete della modernità e del cambiamento. Aveva un interesse quasi morboso per il periodo 1939-45, ma non lesinava sugli autori più contemporanei.
La sua creatività rientrava nell’ordine di una speculazione meditativa definita da periodi di assenza, in cui non desiderava essere disturbato. Avrei voluto che viaggiassimo insieme, io che ho sempre accordato al vagabondare un’energia creatrice, ma lui non amava viaggiare; preferiva osservare il mondo e farselo raccontare dai suoi libri, comodamente seduto in salotto, dimostrando che l’atto creativo non può essere prescritto. Mio padre era così: a modo suo. Ora più che mai mi mancheranno le nostre esplorazioni della biblioteca di casa, ognuna delle quali è stata non solo un momento d’intimità tra un padre e una figlia, ma anche un formidabile giro intorno al mondo.